Le regole per scegliere un cibo di qualità
Molti si accontentano di riempire le proprie pance nemmeno fossero dei buchi da otturare. E lo chiamano sostentamento: cosa sostenga, per quanto mi riguarda, mi è poco chiaro.
L’altro giorno ero a fare la spesa, e mentre giravo per le corsie ho per caso incrociato più volte la stessa coppia e l’occhio mi è caduto sul loro carrello.
Flashback. È il 2013. Sono a Londra perché voglio migliorare il mio inglese e sono ospite di una splendida signora londinese la quale, si era anche premurata di dirmelo prima che arrivassi, non ama cucinare. Non mi è mai stato chiaro cosa le piacesse mangiare o no, ma so che qualunque cosa di acquistabile al Tesko, congelato e cucinabile al microonde, poteva rientrare nella sua lista della spesa.
Prima di quel viaggio non avevo idea di cosa volesse dire ‘puff pastry’ (la pasta sfoglia), dopo lo avevamo imparato benissimo sia io che il mio giro vita. Alla fine dei miei sei mesi di viaggio studio ero ben sette kg in più rispetto a quando sono partita. Credo di aver sperimentato ogni sorta di pie: le più light erano con funghi e salse di formaggi (formaggi?), le più strong con carni macinate non meglio identificate; tutte ovviamente condite con insaporitori (aka, additivi) dai nomi impronunciabili, e non solo in inglese! Quando ho chiesto di avere un po’ di verdura, Judith mi ha servito un piattone di patate fritte, anch’esse ovviamente fatte rapidamente scivolare dal congelatore al forno. Volevo morire. Io, cresciuta in campagna, abituata a frutta e verdura raccolte dall’orto, a polli e conigli allevati da mamma e papà, in quei mesi ho pienamente compreso, con la mente ma soprattutto con il corpo, quanto nutrirmi fosse importante in generale per la mia salute, ma anche per il piacere, il gusto, la gioia della varietà. E pure quanta fortuna fosse racchiusa nelle mie origini.
Mi rendo conto, oggi più che mai, quanto sia debitrice a quel contatto con il cibo vivo che arrivava nel mio piatto: è grazie a quel contatto che ho avuto la fortuna di sperimentare la varietà e la qualità di un cibo che abbia un potere benefico che va ben oltre quello del mero sostentamento.
Ed è sempre grazie a quel contatto se, oggi che l’orto di mamma e papà non c’è più, io vado ancora alla ricerca di una qualità che non solo nutre il mio corpo e il mio spirito, ma mi salva dalle logiche consumistiche che più che gratificare me, gratificano l’industria, o meglio il suo portafoglio.
Avere una relazione salutare ed appagante con il cibo non può prescindere dall’interessarsi alle sue origini: è solo nella sua storia che possiamo rintracciare la sua qualità e riappropriarci di un contatto col cibo più con il gusto e la gioia del nutrimento che non con il conteggio delle calorie e l’occhio fisso alla bilancia. Non che ora tu debba metter sù un’azienda agricola e produrre ciò che mangi ma certamente puoi ed è nel tuo interesse prestare sempre più attenzione ai percorsi alimentari.
Tre sono le domande che ti possono aiutare a compiere scelte alimentari di qualità verso te stessə e verso la natura di cui fai parte.
Com’è stato allevato/coltivato? Nella letteratura medica sta emergendo che il modo di produzione del cibo, forse ancor più della sua varietà, incida seriamente sul calcolo del sapore e della funzione che esso svolge in noi. C'è un'enorme differenza, nel prodotto finale, per esempio fra la carne macinata di manzo prodotta industrialmente in allevamenti intensivi (che rappresenta la maggior parte della carne e pollame che arriva sulle nostre tavole) e la carne di bestiame allevato al pascolo. Nella classe medica ancora oggi queste due categorie sono spesso messe insieme e definite semplicemente carne rossa, ma se chiedi a uno chef, ti dirà che queste due carni sono due mondi a parte. Ed è sufficiente che tu le assaggi per comprendere che l'ipotesi avanzata dagli chef è corretta. Il sapore porta con sé l’informazione nutritiva: la differenza di sapore tra la carne d’allevamento e quella da pascolo non è quindi una mera questione di palato.
Cos’ha mangiato? È un pesce di allevamento nutrito con mangimi, o è un pesce pescato che ha avuto la fortuna di poter rispettare la sua dieta naturale? È un pollo da allevamento intensivo che è stato portato velocemente al suo peso adulto con mangimi da colture OGM, o è un bel pollo ruspante che mangia cereali e avanzi dell’orto? È una fragola cresciuta in serra a dicembre, o è una fragola spuntata naturalmente a primavera?
Com’è stato trattato/trasformato? Che processo di elaborazione ha subito? È un cibo al suo stato naturale, o comunque minimamente processato (a crudo, bollito, arrosto, marinato) come possono essere le preparazioni della cucina di casa? Oppure è un cibo altamente trasformato, un cibo la cui matrice naturale è stata alterata con processi e additivi industriali estranei alle pratiche e agli ingredienti della cucina casalinga (se non lo hai già letto, il mio articolo sugli UPF ti chiarirà molto bene i rischi sottesi al consumo abituale di questo tipo di cibi)?
Sono le risposte a queste domande che fanno la differenza fra la salute e la malattia, fra il delizioso e il trangugiabile, fra l’adeguamento passivo ai modelli veicolati dalla cultura della convenienza e la scelta responsabile.
Che cosa scegli di portare dentro di te? Che cosa scegli di portare nel mondo?
Avere una relazione salutare ed appagante con il cibo non può prescindere dall’andare oltre i messaggi della cultura di massa del finalmente liberi dall’incombenza di fare chissà quali variegate spese e successive noiose preparazioni... finalmente salvati dal piatto pronto che, con un semplice balzo dal frezeer al forno, in dieci minuti, ci risolve la questione ‘sostentamento’.